LA POLITICA È COME IL CALCIO, GOAL MANCATO, GOAL SUBITO!

La fortuna di gran parte del nostro ceto politico è che la stragrande maggioranza degli italiani, quando andava a scuola, odiava profondamente la storia e ora che sono adulti, della politica estera se ne fregano altamente, ripiegati come sono su tre dei principali peccati veniali del nostro tempo: la cronaca sportiva, il gossip e la cronaca nera.

Gli italiani, poi, sono attenti come non mai alla politica interna, amano cioè prendere spesso delle posizioni più per tifoseria che per deduzione logica e si infervorano sul parlarsi sopra o sul picchiarsi in aula, piuttosto che sul saluto romano o l’eschimo, come se queste ultime azioni potessero mutare le sorti del mondo.

Capita così che, in queste ultime settimane, mentre qualche giornalista cerca di stanare i neofascisti dalle file di Fratelli d’Italia per mettere in difficoltà la Meloni in Europa, la nostra Presidente del Consiglio, sempre per mezzo di altra carta stampata, stia facendo circolare la voce che la vittoria della Le Pen in Francia possa tornare utile a Giorgia per strappare alla von der Leyen un Vicepresidente Esecutivo e un Commissario di peso, come se il mondo non fosse cambiato domenica e stesse ancora per cambiare sia con l’inevitabile trionfo di Trump, il prossimo novembre, in America, sia con la vittoria ormai conclamata di Putin in Ucraina.

Roba che, in confronto, la narrazione della battaglia di Kadesh – avvenuta nel 1274 a.C. tra gli egiziani e gli hittiti, della quale ancora oggi non sappiamo chi ha vinto a seguito delle contraddizioni storico-narrative fatteci pervenire dalle due parti in causa – sembra un gioco da ragazzi.

In altre parole, qui, ognuno si inventa la propria verità nel vano tentativo di salvare la posizione acquisita salvo poi vedersela strappata dal popolo inferocito perché, come ebbe a dire Nino Manfredi nei panni di Monsignor Colombo, nel film “In nome del Papa Re”: “cor popolo ce se sbatte sempre er grugno!”.

Ma questo, i nostri politici, proprio non lo vogliono imparare e, più del popolo che essi amministrano, dalla storia, nulla vogliono assimilare. D’altronde, se non fosse così, come avrebbe fatto la Meloni a non far tesoro degli errori compiuti da Gianfranco Fini? Eppure, grazie a “Cappuccino”, Giorgia è stata la Ministra della Gioventù e quella stagione l’ha vissuta non per sentito dire ma da protagonista, e invece niente! Sembra, al contrario, che quelle scelte scellerate con le quali Fini – nel tentativo di accreditarsi presso i salotti buoni, piuttosto che l’establishment europeo – distrusse un partito e mandò a ramengo un patrimonio di uomini e cultura, siano state ottimali anziché fallimentari.

Ma io ho ancora nella testa le sirene dei radical chic dell’epoca – che dipingevano la linea di Fiuggi come quella della “buona destra”, presentabile e democratica – per non rendermi conto di come questa operazione stia ancora oggi proseguendo con questo Esecutivo e lei, come un’allocca, ci è caduta con tutte le scarpe.

Si è passati, così:

  • dall’aperta critica antisistema all’UE e all’Euro del 2014, a tal punto da avere il coraggio di affermare, alle europee di quell’anno, che fosse: “arrivato il momento di dire all’Europa che l’Italia deve uscire dall’Euro” alla posizione “confederale e responsabile” del 2024;
  • dalle posizioni filo-putiniane – tipo la richiesta ufficiale alla Camera dei Deputati di ritirare “immediatamente il proprio sostegno alle sanzioni contro la Russia”, da lei definite “inutili e masochiste”, perché “massacrano il mercato italiano” – al sostegno totale e cieco dei nostri giorni all’Ucraina, senza tener conto che, anche questo, ha massacrato, a livello economico, il nostro Paese;
  • dall’ospitare Steve Bannon, ad Atreju nel 2018, così come nell’essere essa stessa l’ospite d’onore, per la prima volta, al Cpac – (Conservative political action conference), l’anno seguente, a Washington, in piena era trumpiana – all’essere la dolce “nipotina badante” di Biden;
  • dal criticare il Governo Gentiloni per il proprio rapporto con la Merkel e Macron al voto contrario, nel 2019, in quel di Strasburgo, alla nomina di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione Europea – perché ritenuta in piena continuità con il proprio predecessore Jean-Claude Juncker – fino allo spalleggiare Ursola, dal primo giorno d’incarico a Palazzo Chigi, salvo poi accorgersi dell’immenso “Cetriolo Spaziale” che le aveva preparato la principessa sassone.

Altro che “under dog”, qui ci si trova in presenza di una persona che si è voluta per forza di cose trasformare in qualcosa che non è, e che non è in grado di essere, e il tutto lo si è fatto per darsi un tono, come se ci fosse qualcuno, più in alto del Padre Eterno, che avesse il diritto e l’obbiettività per darci un patentino e farci così essere ancor più attrattivi nei confronti delle masse.

Le masse che, sempre secondo questi scienziati, potrebbero essere imbrigliate e spostate, di qua e di là, manco fossero delle farfalle. Eppure c’è chi, più umilmente e terra terra, evocò il richiamo della foresta per far rinsavire questi personaggi. Infatti la Le Pen, nel marzo del 2024, ha postato un videomessaggio nel quale chiedeva a Giorgia: “Signora Presidente, sosterrete veramente von der Leyen? Io credo di sì e così si contribuirà ad aggravare le politiche di cui tanto soffrono i popoli d’Europa”. E pensare che, solo dieci anni prima, le due leader si scattavano insieme selfie amichevoli e postavano slogan di questo tenore: “per un’Europa di popoli sovrani #noeuro #popolosovrano”.

Ma d’altronde, una è rimasta più prudente riguardo l’intervento del proprio Paese nel conflitto in Ucraina mentre l’altra si è praticamente trasformata nel più coriaceo alfiere della NATO, così come, mentre una evoca l’abolizione dello ius soli, l’altra, nel 2023, in un intervento alla Farnesina durante un convegno sulle migrazioni è andata a dire che: L’Italia e l’Europa hanno bisogno di immigrazione”.

Dunque cosa aspettarsi? Non poteva veramente andare altrimenti e come ci hanno insegnato i nostri nonni, per i quali, “chi lascia la strada vecchia per la via nuova, sa quello che lascia ma non quello che trova”, la Meloni, se l’è presa e se la prenderà sempre di più in saccoccia.

Un esempio su tutti: la nascita del gruppo “Patrioti per l’Europa” di Victor Orban che, oltre ad attrarre su di sé l’FPO che fu di Haider e l’ANO del milionario ceco Andrej Babiš, ha registrato da subito sia l’adesione della Lega di Salvini, che della Chega portoghese. Ben presto, però, sarà tutto il gruppo di ID ad aderire, cioè anche la Le Pen, così come tutto l’ECR, compresi i polacchi di Morawiecki, ad esclusione, chiaramente, degli eurodeputati di Fratelli d’Italia, che, a questo punto, si ritroverebbero con il cerino in mano, salvo poi ricollocarsi, come nel gioco dell’oca, all’interno del Partito Popolare Europeo, cioè il gruppo dal quale proviene Fidesz, l’Unione Civica Ungherese di Victor Orban.

Così facendo, di certo, la Meloni otterrebbe quanto da lei richiesto, non tanto per l’Italia o per qualche suo alleato, vedi ad esempio Tajani, quanto per i propri uomini, cioè per l’outsider Nicola Procaccini e il conservatore Raffaele Fitto, mente dell’operazione ECR ed uno dei principali “intortatori” di Giorgia insieme a qualche giornalista strabico artefice e colpevole del distacco della Meloni dalla realtà.

Ma anche se alla fine riuscisse ad ottenere questi incarichi sarebbe un bene per il partito?

Io penso proprio di no, perché sarebbe solo una vittoria di Pirro che accelererebbe, da una parte il processo di snaturalizzazione in atto di questo soggetto politico, e dall’altra, la parabola discendente come lo è stato, negli ultimi dieci anni, per tutte le forze che si sono alternate alla guida del Paese.

Deve invece far riflettere il risultato francese per due fattori:

  1. La famiglia Le Pen, anche se sconfitta, dal 1974 ad oggi, ad ogni tornata elettorale, ha sempre visto crescere il proprio consenso e mai decrescere;
  2. Alle legislative di domenica scorsa il Rassemblement National ha incassato il 33,1% dei consensi su 33 milioni di votanti, cioè si è recato alle urne il 66,7% dei francesi. Un risultato, quest’ultimo, ben più importante del nostro misero 49,69% alle ultime europee e che testimonia come il consenso verso la Le Pen sia veramente importante.

In definitiva, mentre i topi già si stanno preparando ad abbandonare la nave, il capitano è troppo attento ad ascoltare l’orchestra del Titanic e questo non è un bene ne per se né per il proprio equipaggio.

Lorenzo Valloreja

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