AD UCCIDERE IL RAGAZZINO DI PESCARA SIAMO STATI NOI TUTTI …
L’omicidio del diciassettenne di Pescara ha scosso gli animi non solo del capoluogo adriatico, ma dell’intero Abruzzo. Ora ci si interroga su come sia potuto accadere che due minori, della cosiddetta Pescara bene, con leggerezza e senza nessun pentimento, abbiano potuto uccidere, con 25 fendenti, un loro coetaneo. La risposta, francamente, è tutta da rintracciare dentro questa “stupida domanda”, perché solo chi non ha gli occhi per vedere, le orecchie per sentire o il cervello per ragionare può dirsi stupito.
In fondo, che cosa ci si può attendere da una società così marcia e corrotta? Pescara non è in Italia? E l’Italia non è forse in Europa, così come il nostro continente è parte dell’intero mondo? E allora, perché quello che troppo spesso accade a Napoli, piuttosto che a Milano, così come a Bucarest o a San Paolo del Brasile, non dovrebbe accadere anche qui da noi?
Sostenere il contrario non è solo da provinciali, ma anche da stolti e vigliacchi.
Certo, per i benpensanti, la fine della povera vittima rientra senz’altro in questo schema, nel destino già segnato per chi, seppur giovanissimo, è già stato segnalato alle autorità. In fondo, chi era questo diciassettenne? Un ragazzo con alle spalle un vissuto difficile: figlio di una ragazza madre – adottata a sua volta da una coppia italiana – che non è stata in grado di crescerlo da sola, a tal punto che il giovane era stato affidato ai nonni materni, i quali, benché lo avessero allevato con tutto l’amore di questo mondo, non sono riusciti a tenerlo lontano né dalle fughe da casa, né dalla droga, né tantomeno da una serie di piccoli reati. Motivi, questi ultimi, per i quali la vittima, prima di essere assassinata, si trovava a risiedere in una comunità sita in Isernia, dalla quale era fuggita poche ore prima.
I due presunti assassini, invece, sono loro il vero pugno allo stomaco di Pescara! Infatti, uno sembra essere figlio di un graduato dei carabinieri e l’altro figlio di un’insegnante o forse di un’avvocatessa. Dunque, può essere mai che delle famiglie così apparentemente per bene non si siano mai accorte del malessere di questi liceali?
Certo che non se ne sono accorti, perché le famiglie oggi sono assenti quanto più sono presenti, o meglio, come direbbe il professor Crepet: “La famiglia è morta perché … i genitori non sanno più dire no e i figli s’illudono che il mondo funzioni così … (d’altronde) dandogli tutto crescono senza passione … e con i telefonini distruggiamo l’empatia”.
Sì, l’empatia, quella che è mancata totalmente in quegli attimi di follia, quando i due, sembra, abbiano addirittura infierito ciecamente, con calci e pugni, sul cadavere dello sfortunato ragazzo. Questi genitori, dunque, come avrebbero mai potuto capire che nei loro figli covava un simile mostro?
Siamo o non siamo troppo presi dal lavoro e dalle beghe quotidiane per guardare i nostri figli negli occhi? Certo che sì, così come siamo troppo stanchi per litigare con loro, imporre le nostre regole, indicare la via ed allora evitiamo, assecondiamo, premiamo ed ecco il risultato!
E le famose istituzioni cosa fanno? Ma cosa mai volete che facciano se non sono altro che lo specchio della nostra società malata? Un dato su tutti, e qui già so che mi tirerò dietro gli insulti di amministratori e politici vari: “Pescara, secondo uno studio nazionale condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche ‘Mario Negri’, è la prima città in Italia per consumo di cocaina”, prima della Capitale, prima di Milano e persino di Palermo. Qualcuno si è mai preoccupato di stroncare questo giro?
Certo che no, perché la “folle polvere” è un vizietto che circola anche tra gli insospettabili: politici, medici, magistrati e perché no, anche forze dell’ordine. È il cancro indicibile che sta distruggendo questa nostra società! Infatti, quando una potenza straniera voleva minare l’integrità di un popolo, lo imbottiva di droga per liquefare la società.
È stato così con le “Guerre dell’oppio” a metà ‘800, così come lo è stato con lo tsunami di eroina che investì l’Italia e tutta l’Europa negli anni ‘80, e la cocaina oggi.
Un tempo avevamo Dio, Patria e Famiglia; oggi, invece, questi valori non si possono più neanche nominare perché richiamarsi a questi concetti è considerato, dai soloni della comunicazione, da fascisti.
Inoltre, come detto poco fa, non solo la famiglia tradizionale è morta, ma è addirittura sparita a favore di un insieme liquido e instabile. Per quel che concerne la Patria, poi, abbiamo abbandonato il concetto della “Terra dei Padri” dell’‘800 e per la quale abbiamo fatto le guerre risorgimentali, in favore di una Patria di plastica e artefatta come quella europea che non è mai esistita se non nelle perversioni politiche di qualche allucinato visionario.
Riguardo a Dio, poi, si è fatto di tutto per ucciderlo e cancellarlo dalle nostre scuole e dalle nostre abitudini e, come fece dire Dostoevskij ad Ivan Karamazov: “se Dio non esiste, tutto è permesso”, ed infatti ecco i frutti di questa società.
A questo punto, qualcuno tra voi potrebbe rispondermi dicendo che anche nel secolo scorso, dove teoricamente c’erano ancora questi valori, i giovani sparavano su altri giovani ed uccidevano persone innocenti, come nel caso degli “anni di piombo”, ma lì, se pur tali gesti erano ugualmente folli e deprecabili, c’era almeno la scusante dell’ideologia della rivoluzione, cioè della lotta armata per un principio altissimo quale quello di un utopico mondo migliore. Qui, invece, siamo in presenza di un omicidio per un debito di 200 Euro per una partita di droga.
Della cifra che si doveva sborsare per un piacere terreno quanto vacuo e vanesio. Gli stessi piaceri e sogni cantati dai trapper, e sponsorizzati dalla stragrande maggioranza dei cantanti pop e dalle finte trasmissioni d’inchiesta. Piaceri e sogni raccontati nelle stucchevoli e ripetitive fiction che a tamburo battente ci vengono propinate sia sui canali generalisti, che sulle piattaforme, quando non anche sul grande schermo.
Roba che se domani mattina dovesse fallire la criminalità italiana, l’industria del cinema nostrano dovrebbe abbassare le serrande.
Tutti siamo responsabili della morte di quel ragazzino e non saranno certo delle fiaccolate o delle lezioni a scuola sulla legalità che lo riporteranno in vita o cancelleranno il problema.
Il problema lo si risolve solo con “l’uomo nuovo”, riavvolgendo il nastro e facendo ognuno di noi la propria parte, in primis lo Stato e le famiglie, che non possono essere schiacciate ad un angolo da questo sistema ma devono reagire tornando a fare quello che facevano un tempo, cioè, scandendo i riti di passaggio.
I ragazzini devono fare i ragazzini: devono cioè essere nuovamente sottoposti prima all’autorità della famiglia, poi alla scuola, poi a quella della Chiesa, e prima di essere adulti, a quella dello Stato.
Devono sognare come dei ragazzini, avere desideri da ragazzini, e comportarsi come tali. Non possono fare quello che vogliono, come lo vogliono, nell’ora e nel momento che vogliono come se fossero degli adulti impuniti.
D’altronde, se si è minori lo si è appunto perché non si è ancora raggiunta un’autonomia psico-fisica che consenta loro di essere pienamente padroni del loro destino, diversamente sarebbero maggiorenni.
Lorenzo Valloreja
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