LA RUSSIA NAZIONALIZZA ARISTON, E UNICREDIT LI’ HA VITA SEMPRE PIU’ DIFFICILE GRAZIE ALLA BCE.
Come già su questo foglio vi abbiamo accennato, la persistenza anzi il rafforzamento di uno stato, io direi, di guerra non guerra e di pace non pace fra gli stati del blocco euroatlantista alias Occidente, e la Federazione russa dall’altra parte (anche se l’orlo di una crisi di nervi, al momento mi sembra più tra i primi), non può non provocare sempre più incertezze e problematiche inedite tra i cittadini, e pure tra le aziende più o meno grandi sia “qua” che “là”.
Cioè, tanto per fare un esempio: se uno chiede un visto consolare per visitare la Russia come turista, si autoiscrive all’elenco dei traditori della patria o delle potenziali spie?
E se un’azienda che ha interessi multimilionari tra Minsk e Vladidostok, ritiene di non poter andare sotto una certa soglia di disimpegno, come la mettiamo?
La problematica riguarda ormai in modo macroscopico le banche Raiffeisen Bank International AG e Unicredit. La primaè esposta in Russia per ben il 30% degli utili, la seconda “solo” per il 7%. Ebbene, mentre la Banca centrale europea a RBI aveva sinora rivolto solo delle non formali e vincolanti esortazioni a un più effettivo abbattimento del business nell’immenso territorio di Russia e a un concreto ossequio alle famose sanzioni, sembra che ora stia per partire verso essa una formale intimazione, estesa anche al colosso bancario risultante dalla fusione Credito Italiano-Banca di Roma che tra le banche del gruppo (autodefinentesi paneuropeo) annovera appunto Unicredit Russia. A dare notizia di questo giro di vite in arrivo da parte della vigilanza bancaria unica europea è stata venerdì 19 aprile Reuters, citando due fonti bene informate.
La Bce ha risposto con un «no comment» alla richiesta di verifica del Sole24Ore. E UniCredit ha fatto sapere di non aver ricevuto al momento alcuna lettera a riguardo da parte della vigilanza dell’istituto di emissione guidato da Christine Lagarde
Sempre IL Sole 24 ore, questa settimana ci ha fatto sapere: “…RBI non ha tardato a uscire allo scoperto con un comunicato giovedì 18 aprile: RBI ha emesso un comunicato solo nel momento in cui ha avuto la certezza che le trattative con la Bce sono finite e la tabella di marcia e i volumi delle riduzioni delle attività in Russia sono definitivi. «Ci aspettiamo che la Bce in tempi brevi dirami la richiesta per un’accelerazione della riduzione del nostro business in Russia. In base alla bozza odierna di questo requisito, i prestiti alla clientela caleranno drasticamente per il 2026 (fino al 65% rispetto ai risultati del terzo trimestre 2023)». RBI sostiene di aver ridotto dal febbraio 2022 – dall’invasione russa in Ucraina – i rischi relativi al capitale e alla liquidità: ma non tanto quanto indicato poi dalla Bce. Per legge in Russia, fanno sapere fonti vicine a RBI, è vietato rifiutare la richiesta di aprire un deposito da parte della clientela. E molti cittadini russi preferiscono depositare i propri risparmi presso una banca europea, a condizioni stracciate (RBI offre il 2% contro il 16% dei tassi russi) pur di mettersi al sicuro.
La Bce in qualità di supervisore bancario ha compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi che le vengono attribuiti dal Regolamento Ue numero 1024/2013. In particolare, l’articolo 16 sui poteri di vigilanza, al comma e) ed f) stabilisce che la Bce può «restringere o limitare le attività, le operazioni o la rete degli enti o esigere la cessione di attività che presentano rischi eccessivi per la solidità dell’ente; ed esigere la riduzione del rischio connesso alle attività, ai prodotti e ai sistemi degli enti».
Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Bce ha monitorato attentamente la situazione e ha avviato un dialogo con le poche entità bancarie sottoposte a vigilanza che hanno filiali in Russia. Sebbene la maggior parte di questi soggetti abbia mantenuto le proprie filiali russe, ha compiuto progressi nel ridurre le proprie attività nel mercato russo. Nel complesso, la Bce ha riportato nel suo ultimo rapporto annuale che le banche vigilate hanno tagliato le loro esposizioni verso la Russia del 21,4% tra la fine del 2022 e il terzo trimestre del 2023, riducendo progressivamente i loro livelli di esposizione dall’inizio della guerra. La maggior parte delle banche ha inoltre deciso di non accettare nuove attività in Russia, ove legalmente consentito, e sta esplorando strategie di uscita, come la vendita di attività o la chiusura delle proprie operazioni sul mercato russo….”.
Altre banche quali Intesa hanno gettato la spugna accettando perdite non irrilevanti per la totale fuoriuscita dal mercato russo. Unicredit (situazione che riguarda più direttamente l’Italia) ha finora resistito direi disperatamente disimpegnandosi fino a un certo punto, e anche se arrivando persino a mantenere, per motivi etici e per non precludersi troppo un mercato che un giorno o l’altro si normalizzerà, centinaia di dipendenti che non licenzia e di cui accetta la inattività.
D’altronde, mentre nei primissimi giorni del conflitto russo-ucraino sulle schermate di bancomat e della operatività del gruppo Unicredit apparivano le prime pagine di accesso con inneggiamenti all’Ucraina e inviti alla solidarietà verso la popolazione, all’improvviso queste scomparvero: è probabile che le autorità russe abbiano ottenuto la non introduzione sul proprio territorio, di messaggi per loro antipatriottici, salvo ritorsioni. La peggiore delle quali incombe sempre, in questi casi, in veste di nazionalizzazione (ovviamente a costo relativamente zero o quasi per lo stato nazionalizzatore fino a rasentare la confisca di fatto).
Ritorsioni che (notizia di queste ore) colpiscono il gruppo Ariston nelle sue attività in Russia, mediante una nazionalizzazione “temporanea” a beneficio di Gazprom su cui subito si sono riversati gli strali italiani ed eurocratici: ma purtroppo per noi in questa guerra ibrida, la Russia non si limita solo ad incassare colpi.
A. Martino
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