QUELLE CATENE IN UN TRIBUNALE DI BUDAPEST, ILARIA E ROBERTO SALIS PIU’ CHE SUBIRLE, LE GESTISCONO. E SONO GLI EROI DELL’ITALIA IMBECILLE E MAI PENTITA PER CUI ANCORA “UCCIDERE UN FASCISTA NON E’ REATO”.
Vi è un nesso, neanche tanto sottile ma difficile da cogliere per chi sia sprovveduto di una certa sensibilità critica e dissidente, fra Ilaria Salis e suo padre Roberto da un lato; e fra Michele Emiliano e il suo colonnello Antonio Decaro.
E non alludo alla generica appartenenza a un popolo “di sinistra”, ma che con la vecchia militanza comunista non ha più nulla a spartire se non delle radici di rituale “antifascismo” buono a tenere perennemente in stato isterico e aggressivo i pasdaran alla Ilaria Salis, o a coprire equivocità e arroganze varie da notabili come nel caso degli ultimi due (quando poi uno di questi notabili è persino magistrato DIA, credo in aspettativa, è tutto dire…). Quanto piuttosto alla plastica e concreta corrispondenza dei quattro a certe caratteristiche del Sistema: ideologicamente autistico, moralmente “al di là del bene e del male”, socialmente chiuso e sprezzante, intellettualmente zombi.
E’ l’ Italia che non riusciamo a scrollarci di dosso, è quella in cui, con angoscia, temiamo di vivere gli ultimi giorni. Ma qui non voglio occuparmi nello specifico del gatto (con fascia tricolore) e della volpe (con la toga) corregionali di Lino Banfi o di Albano.
Ma piuttosto della “ragazza col martello” (vecchio strumento di morte e aggressione della sinistra extraparlamentare dagli anni di piombo, vedi mio articolo ANCHE NEL CASO DI ILARIA SALIS, IN FONDO, SE L’”ANTIFASCISTA” COLPISCE IL “FASCISTA” E’ SEMPRE UN EROE. del 3 febbraio).
Adesso stiamo davvero esagerando, non si rassegnano: vogliono davvero il riconoscimento della ufficiale impunità per chi, cantando Bella ciao o sventolando una bandiera rossa, rischi di ammazzare un “fascista” (cioè chi non la pensa allo stesso modo) o lo ammazzi proprio (tanto, “uccidere un fascista non è reato”, o no?).
Sto esagerando, ancora dopo l’ultima apparizione giudiziaria di Ilaria Salis incatenata per la concessione (negata) degli arresti domiciliari, proprio non riesco a “restare umano”, come sbraitava il Renzi dalla notoria empatia e umiltà?
Sono forse meschinamente condizionato dal suo sguardo vagamente inquietante, con un quid di spietato e dal sorriso raggelante? Sarà pure una maestra di scuola elementare (quanto di più rassicurante esiste nell’immaginario medio), ma più che Rosa Luxemburg mi richiama l’agghiacciante contessa Erzsebet Bathory (ungherese).
Volo lombrosiano e forse ingeneroso a parte (è pur sempre una persona in galera), non ritengo proprio di esagerare, dato che l’altro soggetto presunto coinvolto nella presunta aggressione ai militanti di destra radicale a Budapest, non immediatamente individuato e bloccato dalle autorità ungheresi, è sostanzialmente coperto dalla magistratura italiana che ne rifiuta l’estradizione in spregio anche a un mandato di cattura europeo, che in quanto tale dovrebbe per lorsignori essere giuridicamente sacrale.
Eppure, per un seppur grave vandalismo alla sede nazionale CGIL, Roberto Fiore e un altro dirigente di Forza nuova si sono beccati una condanna a otto anni.
Eppure, in Italia ma credo anche in gran parte del resto del mondo, una manifestazione autorizzata non può essere assolutamente disturbata pena segnalazione e denuncia degli organi di polizia. Figurati poi cosa accadrebbe se una folla di leghisti o meloniani inferociti si scagliassero armati di martello o spranghe contro gli uditori di un comizio di Elly Schlein. E qui casca l’asino: la violenza fanatica è purtroppo, che piaccia o no, persistente a “Sinistra”. E’ questo il terreno dove la cupola globalista e neocapitalista riesce meglio e più sbrigativamente a raccogliere i suoi arnesi (e soliti idioti).
Non vi è nulla di artigianale e improvvisato, da quelle parti: ma tanta freddezza, competenza a modo proprio, idee chiare. La scaltra e preparata dialettica politica di Roberto Salis (vagamente richiamante il padre di Elena Cecchettin) è antropologicamente agli antipodi del classico genitore di una “figlia nella m..da”: non implora pietà o garantisce ravvedimenti (magari inesistenti), ma è orgoglioso delle idee e dell’operato della figlia; non invoca clemenza, ma un seggio al parlamento europeo. Le catene in tribunale della figlia, più che subirle, i due le gestiscono: una freddezza ammirevole e in fondo invidiabile, ma che richiede di essere dalla “parte giusta” (cioè quella dell’ “uccidere un fascista non è reato”).
A. Martino
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